Gianluca
Lombardo

Sono più di duecento le persone che, durante l’attacco alle Torri Gemelle del World Trade Center dell’11/09/2001, si sono lanciate nel vuoto, dalle finestre, per sfuggire alle fiamme e al fumo. Con comprensibile angoscia la maggior parte di loro si sarà lanciata nel disperato tentativo di cogliere quella flebile possibilità di sopravvivenza che, restando, avevano già certezza di non avere. Alcuni cercando di usare una tovaglia come paracadute, altri in coppia tenendosi per mano. Nessuno di loro è sopravvissuto. Sono stati chiamati jumpers, saltatori, e le immagini e i filmati dei loro ultimi istanti di vita prima di schiantarsi al suolo, hanno da allora riempito il web.

Da tempo ho avuto l’intenzione di affrontare nel mio lavoro il concetto di caduta, del precipitare giù, non necessariamente immaginando che cadere presupponesse per forza di cose un arrivo al suolo, ma solo immaginando poeticamente l’idea del “lasciarsi andare”, del precipitare da un’altezza. Girando online nel tentativo di trarre spunti utili per questa ricerca mi sono, ovviamente, da subito e con grandi quantità di materiale, imbattuto nei jumpers, decidendo così di virare le premesse del lavoro da presupposti astratti e non collocabili in nessuna congerie spazio-temporale, ad un evento e ad un luogo precisi, dedicando il lavoro ad un trauma epocale così immenso e tragico che ancora oggi ci lascia basiti, affranti e sconcertati.

Ho scaricato quindi decine di immagini di esseri umani disperati e terrorizzati sospesi nel vuoto, senza curarmi troppo dell’imprecisione dell’immagine, o dello sporco digitale inevitabile in file a bassa risoluzione. In ognuna di queste immagini, persone diverse per storia e provenienza sono accomunate dal vivere, con lo stesso terrore, gli ultimi istanti di “libertà” nell’aria tersa di una New York ancora estiva, prima di morire. Molti di questi scatti hanno come soggetto il Falling Man della famosa foto di Richard Drew; altri sono foto o still da video dei numerosi fotoreporter accorsi per documentare il dramma. Altri ancora, scatti e filmati di comuni passanti muniti di fotocamere.

A quel punto del lavoro ho selezionato 18 immagini, nelle quali le figure sono state “isolate” annullando qualsiasi riferimento alle Torri in secondo piano; e dopo aver “sospeso” in un nulla senza prospettiva, né luogo, né tempo questi esseri umani a braccia aperte, li ho semplicemente capovolti, come se precipitassero verso l’alto, in un riscatto ideale che invertisse il moto che li ha scaraventati negli spiazzi antistanti ai due grattacieli. Li ho sospesi a mezz’aria, non più discendenti ma ritratti nella loro corsa verso l’alto. Li ho capovolti pensando quasi di poter dare loro un frammento di memoria pacificata, in un fermo immagine che non tema più la gravità, e sperando in qualche modo, così, di invertire lo spazio, di invertire il moto del tempo, di invertire la storia, di invertire il male.

Queste immagini però sono state a loro volta coperte da una vernice termosensibile nera che le rende visibili solo toccando il foglio, solo trasfondendo parte del calore umano a quella memoria non leggibile se non col proprio corpo vivo: è la carne che ricorda la carne, e il calore di una carezza riporta in vita suicidi disperati lanciati in aria come razzi.
Questo libro intende ricordare questi esseri umani, mettendo insieme però le immagini annerite a delle pagine totalmente nere, come sepolture senza più memoria né traccia di vita, dove l’umano è sparito per dare spazio ad una forma di dolorosa dimenticanza, punti di non-ritorno di ciò che perdiamo per sempre. Bisogna cercare, toccando, dove è nascosta l’immagine. Solo alcune volte avremo fortuna nel riportare agli occhi ciò che è stato perso; numerose altre volte no, e ciò che ci sarà dato vedere è il nulla.

Su questo trauma storico si è detto tanto, e visto anche di più. Io ho solo desiderato ridare leggerezza al peso, e, seppur nel lutto di una ferita inguaribile, pensare o forse confidare di dare il potere del volo a chi vola, la vittoria sul dolore a chi quel dolore lo ha attraversato in pieno.
E sperare così che un giorno, anche la più piccola brutalità possa trasformarsi in carezza.

G. Lombardo
maggio 2021