Delle vedute precise e locali, da finestre che colgono solo comuni caseggiati residenziali e montagne grandiose e massicce della Francia meridionale; vedute bloccate entro poche prospettive, sovrapposte ad alcuni sguardi sul mare.
Queste finestre incorniciano ciò che del mondo mio fratello ha visto per ultimo, esempio non particolarmente straordinario per parlare del più straordinario dei mondi possibili: quello dove i vivi sono ancora vivi.
Queste vedute, da un appartamento qualsiasi, in una qualsiasi cittadina del pianeta, rivelano il mondo, e ne costituiscono un esempio tangibile e metonimico. Sono vedute che, a tutti gli effetti, parlano della natura del mondo, e rappresentano l’esempio di ogni vita che non si è ancora compiuta. L’ultima veduta. Oltre è solo la cecità.
Mio fratello non ha potuto rivedere il mare. Abitava in una città distante dalla costa. Mi è piaciuto pensare che quelle prospettive, le ultime viste, possano essere tutti i mari possibili; o possano far finta di essere tutti gli altrove che vorremmo contenere nei nostri occhi prima di morire.
Il mare che non vedrà mai più; che non è solo il mare della sua città natale, ma anche quello simbolico del viaggio, qualcosa che ha a che fare con l’avventura e l’abbandono alle correnti di una deriva buona.
La morte, si dice sia il nostro ultimo viaggio.
Strana espressione, poiché per natura il viaggio contempla un ritorno.